Rassegna Stampa Sitterlandia.it - Il Sole 24 ore - Sharing economy - La nuova mappa delle piattaforme collaborative italiane: tra le risorse che si scambiano c'è anche il lavoro

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Sharing economy - La nuova mappa delle piattaforme collaborative italiane: tra le risorse che si scambiano c'è anche il lavoro

La sharing economy in Italia é viva e cresce. Lentamente ma cresce. Mentre il dibattito internazionale si esercita nell'analizzare e tracciare un fenomeno vario e in mutamento - le domande all'ordine del giorno sono: esiste una sharing economy buona e una cattiva? Le regole sono necessarie o sono la via verso uno snaturamento dell'economia condivisa e dei suoi valori? - spuntano e si diffondono anche da noi i servizi che sfruttano la collaborazione "tra pari". Mettono cioè in contatto le persone attraverso piattaforme tecnologiche che facilitano l'incontro tra chi offre una risorsa che possiede con chi invece non la possiede ma la vuole usare. Oggetto dellla condivisione,dello scambio e della vendita sono beni, spazi e servizi, ma anche prestazioni, competenze e tempo.
Ivana PaisNell'universo variegato delle piattaforme collaborative, il lavoro che posto occupa? Lo skill sharing c'è, e c'è anche la formazione. La risposta arriva dauna mappatura puntuale delle piattaforme collaborative italiane, realizzata dalla sociologa Ivana Pais e presentata ieri, insieme a un analogo e complementare studio dedicato al crowfunding a cura di Marta Maineri, nel corso della prima giornata di «Sharitaly 2015». Una due giorni di ricerca e confronto organizzata da Collaboriamo (laboratorio di ricerca e sperimentazione nel settore dell'economia collaborativa) allo spazio Base di Milano nell'ambito delle diverse iniziative (tra cui la European Coworking conference e l'incontro dei cowo italiani con Espresso Coworking) ragguppate nella cornice della Collaborative Week patrocinata dal Comune di Milano.
La mappatura - che segue e amplia lo spettro dei temi di ricerca di una prima edizione del 2014 - prende in considerazione solo ua porzione del fenomeno delle pratiche che normalmente si allienano sotto l'etichetta sharing economy (cohousing, coworking, open source, social street). Lo studio prende infatti in considerazione le piattaforme di collaborazione tra pari, cioè quelle che non erogano servizi top down, stabilendone un piano e selezionando il personale, ma piuttosto abilitano le persone, consentendo una partecipazione che può essere di tipo professionale oppure saltuaria, e nelle quali la collaborazione avviene tramite un sistema di reputazione, cioè di valutazione dell'esperienza. Si tratta infine di realtà nate in Italia oppure di sedi italiane di iniziative straniere.
Sharitaly 2015Le piattaforme di sharing economy censite dai ricercatori secondo questi criteri sono 186, 55 delle quali hanno risposto alla sollecitazione della ricerca: 91 sono italiane e 27 straniere. Dal 2014 sono aumentate del 25%, ma le estere più delle nazionali, che, anzi, sono in leggera flessione: dall'83 al 78%. L'indagine 2015 le divide in 12 settori (tre in più rispetto alla prima mappatura). Gli ambiti su cui si concentrano queste attività di economia collaborativa sono i trasporti (che passano dalle 17 ovvero il 12% del 2014 alle 22 di oggi,18,6%) e il turismo e l'accoglienza, (presenza cresciuta dal 10 al 15%, con la componente di pattaforme straniere in crescita) e lo scambio e la condivisione di beni di varie tipologie. Nuova entrata di quest'anno è la categoria della cultura, con 10 servizi (9%).
Le piattaforme che promuovono la condivisione delle competenze sono in tutto 9 (8% del totale). Nella mappatura dell',anno scorso ne risultavano 13, ma il numero comprendeva anche quelle attualmente riclassificate nella categoria nuova e emergente dei servizi alla persona (9 piattaforme nel 2015, pari all'8%).
I servizi sotto l'etichetta lavoro vanno distinti in base alla modalità di remunerazione della prestazione che viene offerta. Da una parte c'è il gruppone delle piattaforme che che mettono in contatto chi offre e chi cerca piccoli lavori in cambio di una remunerazione in denaro (Chimiconsigli, Gli Affidabili,Makeitapp, Minijob,Solvercity, Tabbid, Upwork, Croqquer); dall'altra chi, come Timerepublic, adotta un modello simile alla banca del tempo, cioè lavoro in cambio di tempo o di crediti.
I servizi alla persona aiutano a trovare una baby sitter (Sitterlandia) o una badante referenziata e ci sono diverse piattaforme dedicate alla cura degli animali domestici. Mentre, ad esempio, su Fluentify privati non professionisti si propongono per dare lezioni di lingue straniere
Sei, tre in più rispetto al 2014, sono le piattaforme di servizi alle imprese (4%). Si va dall'affitto di spazi per eventi o di lavoro ai servizi di consulenza (Oxway, Thinkalise). Zooppa e Appsquare mettono in contato le aziende con creativi e grafici non sempre professionisti.
Anche le piattaforme che "facilitano" la formazione sono sei e rappresentano il 5% (erano il 4 nella rilevazione precedente); si va da Teach4learn che consente a chiunque pensi si saperlo fare di pubblicare una propria lezione a pagamento a Docsity su cui si possono pubblicare appunti, dispense, tesi o a Testiusati, per lo scambio di etsti scolastici tra privati o tra scuole.
La forma giuridica scelta dai fondatori delle piattaforme ne individua solo due costituite come coooperativa, mentre più della metà sono srl, il che rivela presenza di un progetto imprenditoriale dietro alla vocazione sharing.
Quello dei servizi colaborativi italiani oggi é un mercato senza leader: pochi hanno un giro d'affari significativo. Solo il 7% ha oltre 500mila utenti, il 31% si attesta tra 500 e mille, il 20 % ne ha meno. Lo stesso vale per il giro degi scambi: appena il 4% è oltre 100mila scambi e il 68% arriva fino a mille. Tra le piattaforme censite, il 4% opera in ambito locale, l' 8% nazionale, il 12% europeo e il 4% internazionale; ma si tratta, nei due ultimi casi, delle sedi italiane di piattaforme straniere.
Quali sono leve che possono aiutare la crescita di questi soggetti? Non è solo questione di normativa: se attualmente il dibattito - anche in Italia, sull'onda di Uber o di Gnammo - si concentra sulle regole, per gli imprenditori prima di tutto sono i finanziamenti che servono allo sviluppo dell'economia collaborativa. Lo dice il 73%. Solo il 16% infatti punta sul quadro normativo e chi lo fa pensa che più regole potrebbero creare un clima di fiducia intorno alla sharing economy, ma, allo stesso tempo, molti le temono.
Infine, la mappatura di Collaboriamo rivela una sostanziale solitudine degli innovatori: il desiderio di aprire partnership con le aziende della economia tradizionale è diffuso, ma solo il 50% , a tutt'oggi, l'ha già sperimentata in qualche forma.